Dreams are a window onto the ongoing work of the mind during its essential night-shift.
“I sogni sono una finestra sui “lavori in corso” della nostra mente durante il suo turno di notte” (Rosalind Cartwright)
Tutti sappiamo che dormire è indispensabile per il nostro benessere psicofisico.
Passare una “notte in bianco” è un’esperienza poco piacevole, che almeno una volta nella vita capita a tutti. Quando capita di frequente può avere conseguenze anche serie sulla nostra salute.
Il non dormire si ripercuote sulla nostra vita lavorativa e sociale: fra gli effetti più comuni, a livello cognitivo, vi è la difficoltà a mantenere la concentrazione; a livello emotivo, ad esempio, l’irritabilità.
Vari studi dimostrano che dormire abitualmente troppo poco (ed anche troppo) diminuisce le aspettative di vita, aumentando il rischio di obesità e di patologie cardiovascolari.
Rosalind Cartwright è una psicologa americana che ha dedicato la sua vita alla ricerca sul sonno e sul sogno, tanto da essere soprannominata “la regina dei sogni”
Ultimamente mi è capitato di leggere il suo ultimo libro,The Twenty-four Hour Mind: The Role of Sleep and Dreaming in Our Emotional Lives, e ne sono rimasta affascinata, tanto da riuscire a leggerlo tutto nonostante fosse in inglese (non ne esiste ancora una traduzione in italiano, purtroppo).
Cartwright elenca e descrive numerosi studi sperimentali (suoi e di colleghi) sul sonno ed i sogni, formulando ed argomentando l’interessante ipotesi (non solo sua) che, mentre dormiamo, la nostra mente lavori attivamente per archiviare e catalogare le esperienze emotive della giornata appena trascorsa, integrandole con quelle della nostra vita passata.
Il libro inizia con un’introduzione generale sulle fasi REM (Rapid Eye Movement) e Non REM del sonno.
La fase non REM è caratterizzata da 4 stadi:
- stadio 1: addormentamento
- stadio 2: sonno leggero
- stadio 3: sonno profondo
- stadio 4: sonno molto profondo
Dopo aver passato qualche minuto nello stadio 4, si crea un percorso inverso: si ritorna velocemente agli stadi 3, 2 ed 1. Questo stadio 1 è però diverso dall’1 iniziale, in quanto è caratterizzato da rapidi movimenti oculari (Rapid Eye Movement) e da perdita del tono muscolare (questo stadio viene chiamato “stadio 1 emergente” o “sonno REM”).
Un ciclo di sonno che va dall’inizio dello stadio 1 iniziale all’inizio dello stadio “1 emergente” (sonno REM) ha la durata di circa 90 minuti; nel corso di una notte di sonno che procede senza intoppi si succedono 4-5 cicli.
Il sonno REM viene definito anche “sonno paradosso” in quanto, nonostante si sia profondamente addormentati ed il tono muscolare sia bassissimo l’attività della corteccia cerebrale è molto simile a quella che si può registrare durante lo stato di veglia.
Inoltre, cresce il consumo di ossigeno, aumentano la pressione arteriosa ed il ritmo respiratorio, ed il battito cardiaco diventa meno regolare.
Fin dalla scoperta del sonno REM (1953) tutte queste caratteristiche fecero ipotizzare che questa fase fosse associata all’attività onirica.
Sulla base di queste ipotesi si fecero i primi esperimenti per indagare la relazione tra sonno REM ed i sogni. Gli esperimenti si svolgevano risvegliando le persone durante le fasi di sonno REM, e le ipotesi furono confermate: non solo chi veniva risvegliato ricordava dei sogni, ma questi risultavano più vividi rispetto a quelli che si ricordavano di solito al mattino.
Inoltre, si trovò che nell’ 80% per cento dei casi le persone ricordavano i propri sogni quando venivano risvegliati durante il sonno REM, mentre solo il 7% di essi li ricordava dopo un risveglio in fase non REM.
Monitorando l’attività cerebrale tramite tecniche di neuroimaging, in tempi più recenti, si è rilevato che durante il sonno REM vi è meno attività nella corteccia prefrontale (che è la sede delle funzioni esecutive del pensiero logico, della decisione, del giudizio, della riflessione) e maggiore nelle aree sensoriali e nelle sedi associate alle emozioni (area libica e paralimbica).
Ciò suggerisce che durante il sonno REM vediamo e sentiamo cose che non sono (apparentemente) logiche ma che hanno un significato emotivo.
Non a caso spesso non riusciamo a trovare un nesso narrativo nei nostri sogni (quando ce li ricordiamo), ma ricordiamo perfettamente immagini e, soprattutto, emozioni.
“La mente è continuamente in attività, anche se in modi diversi, durante i due stati di veglia e di sonno (un modo breve per catturare questa differenza è dire metaforicamente che parliamo in prosa durante la veglia ed in poesia durante il sonno.” (Cartwright)
Una parte particolarmente interessante del libro di Cartwright è dedicata alla correlazione fra disturbi del sonno e disturbi d’ansia e dell’umore.
È noto che nella maggior parte dei casi i disturbi dell’umore ed i disturbi d’ansia sono caratterizzati, fra gli altri sintomi, da problematiche legate al sonno (ad esempio insonnia ed incubi notturni)
Vari studi hanno dimostrato che il sonno REM delle persone depresse ha un timing diverso rispetto a quello delle persone non depresse: i depressi piombano nel sonno REM più velocemente (saltano lo stadio 3 e 4) ed in maniera “più movimentata” (il movimento degli occhi è decisamente maggiore e più veloce, tanto da essere soprannominato “eye movement storms”).
Un ciclo non REM – REM, anziché durare 90 minuti, ha una durata media di 65 minuti, a volte anche di 45 minuti; inoltre, la fase REM è particolarmente lunga, può durare anche il doppio rispetto rispetto alla norma (di solito circa 10-15 minuti).
Svegliando i depressi gravi durante la fase REM e chiedendo loro di raccontare i sogni, spesso si riscontra che le emozioni riferite sono “piatte”, i contenuti in generale poveri, e la percezione di sé (sognato) è quella di una persona passiva e priva di responsabilità, come in balìa degli eventi.
Per contro, le persone con depressione più lieve e con disturbi d’ansia, le cui fasi non REM – REM non sono altrettanto sfasate, raccontano sogni più “ricchi”, sia di trama che di contenuti affettivi, contenuti spesso negativi all’inizio della nottata, ma che verso il mattino si fanno più positivi.
Altre sperimentazioni hanno mostrato che la qualità dei sogni varia nel corso della notte anche in persone cosiddette “sane”. Più precisamente, svegliando queste persone in vari momenti, sempre in fase REM, le emozioni associate ai contenuti dei sogni sono più negative all’inizio della nottata, per farsi via via più positive al mattino.
Questi studi ed altri analoghi sembrano confermare l’ipotesi che il sonno e l’attività onirica notturna abbiano il ruolo di elaborare e regolare le emozioni. Questa attività ha successo solo se in stato di veglia l’umore negativo della persona non è particolarmente estremo (depressione maggiore), e se la fase REM non comincia troppo precocemente.
Riflessioni “in movimento”:
La mente è sempre attiva, giorno e notte.
Durante la veglia, la maggior parte della nostra attenzione conscia è dedicata a monitorare e fronteggiare gli eventi della realtà esterna; durante il sonno vi è una riattivazione selettiva di alcune delle esperienze vissute durante la veglia, con preferenza per quelle con una connotazione emotiva più forte.
La proficua collaborazione fra “mente diurna” e “mente notturna” (neologismi miei) fa sì che, in condizioni normali, (se cioè non si sta vivendo una forte sofferenza psichica e se si riesce a dormire adeguatamente), si crei un’integrazione fra esperienze recenti e passate, al fine di migliorare i propri schemi di comportamento, o di crearne di nuovi più adattativi (in termini informatici, una sorta di aggiornamento del software).
In termini più “psicoanalitici” potremmo definire questa collaborazione fra mente diurna e mente notturna come un lavoro di rafforzamento del Sè.
In altri termini ancora, potremmo ancora aggiungere che questa preziosa collaborazione consente di mantenere un equilibrio emotivo, grazie anche al fatto che le emozioni negative vengono “macinate e digerite” durante il lavoro notturno, consentendoci di svegliarci al mattino con energie fisiche e psichiche rinnovate per affrontare la giornata.
Per tutti questi motivi, ai fini di un buon trattamento psicoterapeutico, è fondamentale prendersi cura sia della “mente diurna”, sia di quella “notturna” (mi riferisco alla quantità e qualità del sonno e del sogno), perché il malfunzionamento di una si ripercuote sull’altra e viceversa, ed il benessere psichico passa attraverso una sana collaborazione fra entrambe.
Pur sapendo che il sonno è indispensabile, purtroppo, non tutti dormiamo la quantità di ore ottimale per il nostro organismo. A volte non possiamo (per malessere fisico o psichico, ad esempio), ma a volte non vogliamo (o non riusciamo a volerlo).
Nell’epoca in cui viviamo è pensiero comune, più o meno conscio, che dormire sia “tempo perso”, tempo prezioso che si sottrae all’attività lavorativa ed al tempo libero.
In generale, siamo così presi dal bisogno di essere produttivi che non ci sentiamo neanche liberi di utilizzare il tempo libero per dormire; quindi finiamo per dormire sempre meno al fine di “ottimizzare” il nostro tempo, a discapito della nostra salute.
Dormire non è tempo perso.
E tantomeno sognare.